Si tratta, in particolare, della proposta di modifica (45.6) all'art. 45 nella quale viene prevista l'istituzione, presso il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA) e per gli operatori del settore agro-forestale, il c.d. Registro dei crediti di carbonio.
Il credito di carbonio è un termine generico che identifica qualsiasi certificato negoziabile su appositi mercati o qualsiasi autorizzazione (da parte di Autorità pubbliche preposte) che consenta ad un soggetto privato o pubblico di emettere in atmosfera una tonnellata di anidride carbonica o la quantità equivalente di un diverso gas serra.
L'emendamento concerne il mercato volontario, attivatosi dopo gli accordi di Parigi del 2015.
Ora, due osservazioni critiche nonostante la buona volontà dei proponenti: in primo luogo, passa il messaggio implicito che la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera sia di natura umana. Il che, come dimostrano i dati, non è vero, raggiungendo questa solo il 5%. Del resto, l'innalzamento di CO2 è iniziato nel 1700 quando le attività antropiche erano modestissime. In secondo luogo, manca uno strumento di confronto reale al di là delle previsioni e delle stime, ossia quanto i progetti o le azioni di mitigazione incidano fattivamente.
Chi verifica, detto diversamente, l'impatto? Insomma, la solita propaganda "green" che, se da un lato, favorirà il nuovo business del mercato dei crediti, dall'altro non sarà certamente in grado di perseguire i fini prefissati.
Siamo alla "religione civile" della sostenibilità ambientale in salsa ONU/UE in cui l'uomo pare essere l'unico elemento perturbatore in un ordine perfetto.
Benvenuti alle soglie del nuovo "socialismo verde"....
(Daniele Trabucco)